“L’impossibilità di ottenere immagini meglio definite, finché si rimane dentro l’atmosfera della Terra […], spinge l’astronomo a portare i mezzi ottici fuori dall’atmosfera […], si finisce per ricorrere allo specchio a tasselli che con il piccolo spessore di ciascun tassello permette di ottenere grandi superfici riflettenti relativamente poco pesanti”.
Con queste parole, nell’ultimo articolo pubblicato su Coelum, Guido Horn d’Arturo introduce una delle tante applicazioni dello specchio a tasselli. È il 1966: finalmente i costruttori di telescopi iniziano a comprendere che l’invenzione di Horn rappresenta una valida alternativa per l’aumento del potere risolutivo di questi strumenti e far crescere così le conoscenze umane sull’Universo. Horn non riesce a vedere concretizzati molti dei propri progetti relativi all’applicazione degli specchi a tasselli ma, prima della morte, inizia a vedere accettata l’idea da egli proposta oltre trent’anni prima. Quello che osserviamo oggi nella strumentazione astronomica non è altro che uno sviluppo dell’idea dell’astronomo bolognese.
Il 9 maggio del 1979, l’inaugurazione del Multiple Mirror Telescope (MMT), il primo grande telescopio con specchio primario costituito da più specchi, rappresenta una rivoluzione nel campo dell’ottica astronomica. Le dimensioni dello strumento sono certamente importanti, ma non è realmente possibile riconoscerlo come il primo del suo genere. All’epoca, l’unico a fare un collegamento tra il MMT e il lavoro fatto da Horn è Luigi Jacchia, importante astronomo dello Smithsonian Astrophysical Observatory e allievo di Horn a Bologna. In un articolo, pubblicato su Sky and Telescope, egli sottolinea che “il telescopio di Guido Horn è il progenitore del MMT e di tutti gli strumenti a specchi segmentati”. Jacchia, anche lui di origini ebree, ha infatti assistito alla costruzione del prototipo negli anni Trenta, prima di essere costretto a fuggire verso Harvard a causa dell’emanazione delle leggi razziali, nel settembre 1938. Entrambi sopravvissuti alla seconda guerra mondiale, Horn e Jacchia continuano a restare in contatto e soprattutto a nutrire una grande stima e un profondo rispetto reciproco, sia come colleghi che come amici. Jacchia conosce bene il progetto dello specchio a tasselli di Horn e, in particolare, i risultati ottenuti dall’astronomo con lo specchio da 1,8 m. Proprio per quest’ultimo motivo, all’alba dell’inaugurazione del MMT, egli si sente in dovere di far conoscere al mondo la vera paternità di quell’invenzione rivoluzionaria. Ma il suo tentativo è vano: non riesce a ottenere la giusta considerazione.
Dal 1979 a oggi, la tecnica degli specchi a tasselli – multi mirror – si è diffusa ulteriormente e affinata. Molti dei telescopi attivi nel campo della ricerca sono estremamente sofisticati e tutta la tecnologia ora presente era sicuramente inimmaginabile all’epoca di Horn. I più moderni sono dotati di sistemi di ottica avanzata, come le ottiche attive del Gran Telescopio Canarias – in grado di eliminare le deformazioni dei grandi specchi, dovute a particolari condizioni climatiche e alla gravità – oppure di ottiche adattive, come quelle di ultima generazione presenti ai Keck – mirate a correggere i difetti delle immagini causate dalla turbolenza atmosferica –. Il principio di ottica alla base di tutti questi nuovi telescopi rimane però sempre lo stesso: quello ideato da Horn e realizzato, per la prima volta, negli angusti spazi della Specola bolognese. E, nella strumentazione del futuro, vi saranno ulteriori evoluzioni del suo lungimirante progetto.
Tra gli strumenti oggi in costruzione, per il quale si hanno grandi aspettative, vi è sicuramente il James Webb Space Telescope (JWST). Questo strumento è già considerato il successore del famosissimo Hubble Space Telescope, anche se le sue osservazioni si concentreranno principalmente nell’infrarosso. Il suo specchio primario, già interamente relizzato, è costituito da 18 tasselli esagonali, per un’apertura totale di 6,5 m.
Molti altri sono gli strumenti in progettazione nella cui ottica di base è presente la grande intuizione di Guido Horn d’Arturo. Tra questi è certamente degno di nota l’European Extremly Large Telescope (E-ELT), un telescopio terrestre che avrà il primato di avere lo specchio segmentato più grande mai costruito: la sua superficie riflettente sarà costituita da 798 esagoni, con un diametro totale di 39,3 m.
La singolare idea avuta da Horn nel 1932, portata avanti fino alla fine con molte difficoltà, è al giorno d’oggi più che moderna e la strumentazione astronomica del futuro sta seguendo proprio la stessa direzione.
Horn e i telescopi del futuro:
J.W.S.T. James Webb Space Telescope (2019)
Rispetto a un telescopio terrestre, quello spaziale ha il vantaggio di risolvere il problema dell’opacità dell’atmosfera terrestre e i problemi di seeing.
È un telescopio spaziale di nuova generazione, progettato per l’astronomia infrarossa. Il lancio è previsto per la primavera del 2019, con partenza dallo spazioporto di Kourou, nella Guiana Francese. Il telescopio è il frutto di una collaborazione internazionale tra NASA, Agenzia Spaziale Europea (ESA) e Agenzia Spaziale Canadese (CSA) e sostituirà Hubble Space Telescope in funzione dal 1990.
Con uno specchio principale di 6,5 m di diametro, Webb sarà il più grande telescopio mai inviato nello spazio. Sarà inoltre dotato di una innovativa tecnologia per l’acquisizione nella banda infrarossa, che gli consentirà di approfondire le conoscenze dell’universo già acquisite, nel visuale, dal telescopio Hubble.
A differenza di Hubble, che orbita intorno alla Terra a circa 540 km di distanza, Webb orbiterà intorno al Sole a 1,5 milioni di km oltre l’orbita terrestre, in un punto dello spazio conosciuto matematicamente come punto L2 di Lagrange. Il punto L2 del sistema Sole – Terra è un eccellente punto di osservazione dello spazio per almeno tre ragioni. Innanzitutto, da L2 si ha la completa schermatura del Sole da parte della Terra, mentre la Terra è schermata da un gigantesco parasole di cui è fornito lo stesso telescopio. Inoltre, in questo punto la sonda spaziale è soggetta a forze che si equilibrano annullandosi vicendevolmente, il che rende più facile la calibratura della sonda stessa. Infine, da L2 il telescopio può restare in continuo contatto radio con la Terra, senza interruzioni dovute all’interposizione della Luna lungo la traiettoria visuale Terra-Webb.
Le comunicazioni tra telescopio e Terra saranno garantite dal Deep Space Network (DSN) del Jet Propulsion Laboratory (JPL), del California Institute of Technology, utilizzando tre antenne radio situate in Australia, Spagna e California.
Lo Space Telescope Science Institute di Baltimora (Maryland, USA) sarà il gestore delle ricerche e dei dati. Avrà il compito di trasferire i dati scientifici con una periodicità settimanale ai vari gruppi di ricerca titolari delle rispettive osservazioni ed effettuare le opportune correzioni di posizionamento e calibrazione della sonda, anche se essa è in grado di eseguire tali operazioni in modo autonomo.
Lo specchio primario di Webb è costituito da 18 specchi esagonali in berillio ultraleggero. Una volta che il telescopio avrà raggiunto lo spazio, lo specchio si aprirà e i singoli esagoni andranno a comporre un’unica grande superficie riflettente di 6,5 m di diametro.
Dovendo osservare a frequenze nella finestra dell’infrarosso, la strumentazione lavorerà a una temperatura costante di -223°C, grazie a un complesso sistema criogenico.
Il James Webb Telescope inizierà la sua missione scientifica non prima di 6 mesi dopo il lancio. In questo lasso di tempo preliminare, il telescopio compirà tutta una serie di operazioni necessarie al corretto funzionamento: spiegherà il pannello solare e altri sistemi, come l’antenna per la ricezione e la trasmissione dati e il parasole; raggiungerà l’orbita L2, e da qui effettuerà lo spiegamento dello specchio secondario e dello specchio primario; seguiranno, infine, le lunghe e delicate operazioni di allineamento dei 18 moduli esagonali del primario e l’inizio delle calibrazioni di tutti gli strumenti a bordo.
A differenza di Hubble Space Telescope, il cui range osservativo è limitato all’ottico, col Webb la finestra osservativa comprenderà anche il vicino e medio infrarosso, consentendo lo studio di oggetti e di regioni dello spazio che, nello spettro visibile, sono oscurate da gas e polveri. Il Webb potrà così osservare, attraverso le nubi molecolari ricche di formazioni stellari, i dischi protoplanetari e i nuclei di galassie attive come mai nessun altro strumento a terra ha potuto.
Horn e i telescopi del futuro:
E-E.L.T. European Extremely Large Telescope (2024)
Un telescopio terrestre dalla tecnologia estremamente avanzata da far concorrenza al già avanzato telecopio spaziale James Webb Space Telescope, ormai prossimo al lancio.
Sorgerà sulla cima della montagna cilena Cerro Armazones, a oltre 3000 metri di quota, il telescopio europeo da 39,3 metri di diametro, il più grande al mondo. Il via all’esecuzione del progetto è stato dato dall’ESO (European Southern Observatory) nel dicembre 2014, dopo circa 10 anni di studio e l’abbandono di un progetto ancora più ambizioso, per ragioni tecnologiche ed economiche: l’Overwhelmingly Large Telescope, con 100 metri di apertura e 3.042 segmenti esagonali.
L’ottica dell’E-ELT è composta da cinque specchi con un sistema di ottica adattiva per correggere la turbolenza atmosferica estremamente avanzata, in cui uno degli specchi potrà variare la propria forma con una frequenza fino a 1000 volte al secondo. Lo specchio principale sarà composto da 798 segmenti esagonali, ognuno dei quali avrà 1,4 metri di diametro e 50 cm di spessore. Il guadagno sarà sostanziale: E-ELT raccoglierà 15 volte più luce rispetto ai più grandi telescopi ottici oggi operativi e potrà osservare una porzione di cielo estesa quanto 1/3 del disco lunare.
La realizzazione delle varie componenti del telecopio sta procedendo come da programma. Nel maggio 2017 è terminata la fusione dello specchio monoblocco secondario che ha il diametro di 4,2 metri e pesa 3,5 tonnellate. Lo specchio grezzo è al momento della sua realizzazione il più grande specchio secondario fino ad ora prodotto.
L’entrata in funzione è prevista per il 2024.
Come per tutti i telescopi di questa generazione, E-ELT osserverà dall’ultravioletto al medio infrarosso, con un livello di dettaglio di gran lunga superiore non solo a quello fornito dal Telescopio Spaziale Hubble, ma anche dal futuro James Webb Space Telescope.
Il telescopio avrà diversi strumenti scientifici e sarà possibile passare da uno strumento a un altro in pochi minuti. Il telescopio e la cupola saranno anche in grado di cambiare posizione in cielo e iniziare una nuova osservazione in tempi estremamente rapidi.
Di grande rilievo è la partecipazione dell’astronomia italiana al progetto complessivo e ad alcuni dei suoi strumenti, oltre alla realizzazione della struttura portante e della cupola rotante del telescopio.
Horn e i telescopi del futuro:
T.M.T. Thirty Meter Telescope (2028)
Dalla cima del Mauna Kea, montagna sacra per le popolazioni indigene delle Hawaii, presto sorgerà un gigantesco occhio capace di scrutare lo spazio più profondo, ancora meglio del telescopio spaziale Hubble.
Con un’apertura dello specchio principale di 30 m e un secondario di 3 m, il TMT sarà il secondo telescopio terrestre dopo lo European Extremely Large Telescope (E-ELT), previsto entrare in funzione nel 2024. Sarà costruito e gestito dalla TMT Observatory Corporation, che comprende il California Institute of Technology, la University of California e la Association of Canadian Universities for Research in Astronomy (ACURA).
Il sito prescelto per la realizzazione del telescopio è la cima del Mauna Kea, monte sacro per le popolazioni native delle Hawaii. Per questa ragione, e tenuto conto che sullo stesso posto sono già presenti altri telescopi, non è stato facile raggiungere un accordo che consentisse la presenza di una struttura così imponente e allo stesso tempo garantisse il pieno rispetto della sacralità del luogo. Dopo anni di discussioni e manifestazioni di protesta da parte dei locali, nell’ottobre 2017 il governo hawaiano ha dato il via libera alla costruzione.
Attualmente le varie parti del TMT, compresa la sua ricca costellazione di strumenti, sono in fase di costruzione presso diversi laboratori, che fanno riferimento all’Observatory Corporation. L’inizio dei lavori di edilizia sul sito hawaiano è previsto per il 2019, la conclusione entro il 2021. Seguirà la delicatissima fase di trasporto e assemblaggio in loco del telescopio. La prima osservazione scientifica del TMT, con tutti gli strumenti di acquisizione dati – sia spettrali che fotometrici – attivi, è prevista entro il 2028.
Lo specchio principale del TMT avrà una superficie di 655 m² – circa 9 volte più estesa del Gran Telescopio Canarias, l’attuale telescopio più grande al mondo – e sarà costituito da 492 moduli esagonali. Come per tutti i telescopi di ultima generazione, i moduli esagonali poggeranno su degli attuatori; in questo modo il TMT avrà un sistema di ottica attiva, per il controllo dell’esatto posizionamento di ogni singolo modulo, e un sistema di ottica adattiva, per ridurre al minimo gli effetti della turbolenza atmosferica.
Con queste dimensioni e con questa tecnologia, il TMT fornirà una risoluzione senza precedenti, realizzando immagini fino a 12 volte più nitide di quelle ottenute dal telescopio spaziale Hubble; consentirà di compiere osservazioni mai realizzate nella storia dell’astronomia, a lunghezze d’onda che vanno dall’ultravioletto al medio infrarosso. Gli astronomi potranno così affrontare questioni fondamentali in astronomia e astrofisica, che vanno dalla comprensione della formazione di stelle e pianeti, all’evoluzione delle galassie e allo sviluppo di strutture su larga scala nell’universo.