Horn e i telescopi moderni
“L’impossibilità di ottenere immagini meglio definite, finché si rimane dentro l’atmosfera della Terra […], spinge l’astronomo a portare i mezzi ottici fuori dall’atmosfera […], si finisce per ricorrere allo specchio a tasselli che con il piccolo spessore di ciascun tassello permette di ottenere grandi superfici riflettenti relativamente poco pesanti”.
Con queste parole, nell’ultimo articolo pubblicato su Coelum, Guido Horn d’Arturo introduce una delle tante applicazioni dello specchio a tasselli. È il 1966: finalmente i costruttori di telescopi iniziano a comprendere che l’invenzione di Horn rappresenta una valida alternativa per l’aumento del potere risolutivo di questi strumenti e far crescere così le conoscenze umane sull’Universo. Horn non riesce a vedere concretizzati molti dei propri progetti relativi all’applicazione degli specchi a tasselli ma, prima della morte, inizia a vedere accettata l’idea da egli proposta oltre trent’anni prima. Quello che osserviamo oggi nella strumentazione astronomica non è altro che uno sviluppo dell’idea dell’astronomo “bolognese”.
Il 9 maggio del 1979, l’inaugurazione del Multiple Mirror Telescope (MMT), il primo grande telescopio con specchio primario costituito da più specchi, rappresenta una rivoluzione nel campo dell’ottica astronomica. Le dimensioni dello strumento sono certamente importanti, ma non è realmente possibile riconoscerlo come il primo del suo genere. All’epoca, l’unico a fare un collegamento tra il MMT e il lavoro fatto da Horn è Luigi Jacchia, importante astronomo dello Smithsonian Astrophysical Observatory e allievo di Horn a Bologna. In un articolo, pubblicato su Sky and Telescope, egli sottolinea che “il telescopio di Guido Horn è il progenitore del MMT e di tutti gli strumenti a specchi segmentati”. Jacchia, anche lui di origini ebree, ha infatti assistito alla costruzione del prototipo negli anni Trenta, prima di essere costretto a fuggire verso Harvard a causa dell’emanazione delle leggi razziali, nel settembre 1938. Entrambi sopravvissuti alla seconda guerra mondiale, Horn e Jacchia continuano a restare in contatto e soprattutto a nutrire una grande stima e un profondo rispetto reciproco, sia come colleghi che come amici. Jacchia conosce bene il progetto dello specchio a tasselli di Horn e, in particolare, i risultati ottenuti dall’astronomo con lo specchio da 1,8 m. Proprio per quest’ultimo motivo, all’alba dell’inaugurazione del MMT, egli si sente in dovere di far conoscere al mondo la vera paternità di quell’invenzione rivoluzionaria. Ma il suo tentativo è vano: non riesce a ottenere la giusta considerazione.
Dal 1979 a oggi, la tecnica degli specchi a tasselli – multi mirror – si è diffusa ulteriormente e affinata. Molti dei telescopi attivi nel campo della ricerca sono estremamente sofisticati e tutta la tecnologia ora presente era sicuramente inimmaginabile all’epoca di Horn. I più moderni sono dotati di sistemi di ottica avanzata, come le ottiche attive del Gran Telescopio Canarias – in grado di eliminare le deformazioni dei grandi specchi, dovute a particolari condizioni climatiche e alla gravità – oppure di ottiche adattive, come quelle di ultima generazione presenti ai Keck – mirate a correggere i difetti delle immagini causate dalla turbolenza atmosferica –. Il principio di ottica alla base di tutti questi nuovi telescopi rimane però sempre lo stesso: quello ideato da Horn e realizzato, per la prima volta, negli angusti spazi della Specola bolognese. Nella strumentazione del futuro, vi saranno ulteriori evoluzioni del suo lungimirante progetto.
Tra gli strumenti oggi in costruzione, per il quale si hanno grandi aspettative, vi è sicuramente il James Webb Space Telescope (JWST). Questo strumento è già considerato il successore del famosissimo Hubble Space Telescope, anche se le sue osservazioni si concentreranno principalmente nell’infrarosso. Il suo specchio primario, già interamente relizzato, è costituito da 18 tasselli esagonali, per un’apertura totale di 6,5 m.
Molti altri sono gli strumenti in progettazione nella cui ottica di base è presente la grande intuizione di Guido Horn d’Arturo. Tra questi è certamente degno di nota l’European Extremly Large Telescope (E-ELT), un telescopio terrestre che avrà il primato di avere lo specchio segmentato più grande mai costruito: la sua superficie riflettente sarà costituita da 798 esagoni, con un diametro totale di 39,3 m.
La singolare idea avuta da Horn nel 1932, portata avanti fino alla fine con molte difficoltà, è al giorno d’oggi più che moderna e la strumentazione astronomica del futuro sta seguendo proprio la stessa direzione.
Horn e i telescopi moderni:
Multiple Mirror Telescope (MMT, 1979)
Multiple Mirror Telescope (MMT)
Un telescopio da primati, la cui sigla non rispecchia però più l’attuale natura dello strumento
Siamo alla fine degli anni ’60 del ‘900, quando gli scienziati dello Smithsonian Astrophysical Observatory e della University of Arizona iniziano a pensare ad un telescopio completamente innovativo, adatto alle osservazioni nel visibile e nel vicino infrarosso. Nasce così, nel 1979, il Multiple Mirror Telescope, più brevemente MMT. Per la costruzione di questo strumento viene individuato il sito di Monte Hopkins in Arizona, a 55 km da Tucson, a oltre 2.600 m d’altitudine.
MMT è famoso per tre fondamentali innovazioni. La prima riguarda la cupola, progettata per risultare co-rotante con il telescopio. Si tratta in realtà non di una cupola, ma di un gigantesco parallelepipedo alto quanto un palazzo di quattro piani, in grado di seguire dolcemente il movimento del telescopio. La seconda riguarda la montatura altazimutale, impiegata per muovere lo stesso telescopio; una montatura particolarmente stabile e compatta, ma che, per la gestione dei movimenti (ben tre), richiede calcoli elaborati e istantanei che solo l’introduzione del computer ha reso possibile. La terza innovazione, da cui deriva il nome originale del telescopio, riguarda lo specchio principale: non un monoblocco riflettente – per ovvi motivi costruttivi e di stabilità, ingestibili con le tecniche dell’epoca – bensì sei specchi, ciascuno con diametro di 1,8 m, per un obiettivo totale equivalente a quello di un telescopio di 4,5 m di diametro.
All’epoca della sua realizzazione, MMT è il terzo telescopio più grande al mondo, dopo il russo BTA-6 e il telescopio Hale dell’osservatorio di Monte Palomar. Con la tecnica multi mirror, il peso dell’ottica è di appena 3.500 kg, un decimo di quello di uno specchio monolitico equivalente. Nel 2000, il telescopio viene convertito e i 6 specchi sono sostituiti con un singolo specchio di 6,5 m. Per questa modifica si utilizza una tecnica sperimentale, in cui lo specchio monoblocco è realizzato producendo nel suo retro una struttura di sostegno a nido d’ape, che ne riduce il peso fino a quattro quinti. La stessa tecnica sarà impiegata, qualche anno più tardi, per i due specchi primari da 8,4 m di diametro del Large Binocular Telescope. Per specchi di dimensioni superiori si deve però tornare alla tecnica dello specchio a tasselli di Horn.
Horn e i telescopi moderni:
Keck I – II (1993 – 1996)
Ad oggi, i secondi telescopi ottici più grandi al mondo. I primi a essere dotati di sistema di ottica adattiva
A oltre 4.000 m d’altezza, sulla sommità del vulcano Mauna Kea, nelle isole Hawaii, si trova un osservatorio astronomico costituito da due telescopi riflettori gemelli: Keck I (anno di inaugurazione 1993) e Keck II (anno di inaugurazione 1996).
I due telescopi hanno la configurazione ottica di tipo Ritchey-Chrétien, con montatura altazimutale e sistemi sia di ottica attiva che adattiva. Con lo specchio primario di ciascuno dei due telescopi di circa 10 m di diametro, i telescopi Keck sono ad oggi i secondi telescopi ottici più grandi al mondo, dopo il Gran Telescopio Canarias.
Dal 2005 i due Keck possono osservare in modalità accoppiata, divenendo un interferometro la cui capacità di risoluzione, lungo la distanza che separa i due telescopi, è equivalente a quella di un telescopio con uno specchio di diametro pari a 85 m. Nella configurazione con maggior sensibilità, l’interferometro raggiunge la magnitudine 21 nella banda infrarossa K e una separazione angolare di 5 milliarcosecondi, il tutto con un tempo di esposizione di appena 1.000 secondi. Come paragone, il disco lunare visto dalla Terra ha un diametro di circa mezzo grado, 1800 arcosecondi. Con questi dati, i telescopi-interferometro Keck risultano essere ancor oggi tra i maggiori strumenti operativi nell’ottico e nel vicino infrarosso.
Ognuno dei due specchi primari è formato da 36 moduli esagonali, che formano un’unica superficie riflettente di 10 m di diametro. Ogni specchietto è realizzato in vetroceramica e poggia su un sistema di attuatori che garantisce la corretta configurazione di ciascuno di essi, nonostante la distorsione dovuta alla gravità e alla direzione di puntamento del telescopio. Il calcolo e la modifica della posizione dei vari segmenti viene effettuata due volte al secondo, con una precisione di 4 nm.
Oltre al sistema di compensazione degli effetti della gravità, i due telescopi sono muniti di un sistema di ottica adattiva per compensare le distorsioni dovute alla turbolenza atmosferica. Questa tecnologia è stata aggiornata nel tempo e oggi per determinare l’entità della turbolenza atmosferica viene “creata” una stella artificiale. Con un raggio laser diretto nella direzione di puntamento del telescopio, viene stimolato lo strato di sodio atmosferico, tra i 90 e 100 km di altezza; successivamente, si misura la distorsione del raggio luminoso causata dall’attraversamento dell’atmosfera, per deformare opportunamente lo specchio primario con una frequenza fino a 1000 volte al secondo. Ad ogni azione deformante sullo specchio, corrisponde un’azione correttiva sull’immagine della sorgente osservata, il cui effetto è esattamente contrario a quello dovuto alla turbolenza atmosferica.
L’osservatorio astronomico è gestito dalla California Association for Research in Astronomy (CARA), un’organizzazione no-profit in cui sono presenti il California Institute of Technology (Caltech) e la University of California. Dal 1996 si è aggiunta come partner la NASA, che ha contribuito economicamente alla realizzazione e allo sviluppo del sistema hardware e software che fa lavorare i due telescopi in modalità interferometrica. Combinando la luce proveniente dai due telescopi, la NASA porta avanti il progetto Origin Program, che mira a indagare sulla formazione di galassie, stelle e sistemi planetari, con particolare attenzione alla individuazione di pianeti giganti gassosi e dischi di accrescimento di stelle giovani.
Horn e i telescopi moderni:
Hobby Eberly Telescope (HET, 1997)
Un promettente cacciatore di energia oscura, grazie ai nuovi strumenti di acquisizione e al recente restyling nel software, nell’ottica e nella meccanica
Sul Monte Fowlkes, in Texas, a 2000 m sul livello del mare, è operativo dal 1996 il telescopio ottico di 11 metri di diametro, 10 effettivi, dell’Osservatorio McDonald. Attualmente è il quinto telescopio più grande del mondo con ottica a mosaico, il terzo per dimensioni all’epoca dell’inaugurazione. Il telescopio prende il nome da Bill Hobby (1933), ex governatore del Texas, e da Robert E. Eberly (1918 – 2004), benefattore della Pennsylvania State University.
HET è celebre non solo per la sua ottica segmentata, di cui parleremo a breve, ma anche per la particolare montatura che ha reso possibile la realizzazione di questo strumento con una spesa di “appena” 12 milioni di euro, meno di un quarto del costo di un telescopio classico di dimensione equivalente.
L’innovazione della montatura sta nel fatto che consente allo strumento di muoversi solo in orizzontale, mentre in altezza lo strumento punta fisso a 55° sopra l’orizzonte. Durante le osservazioni, la luce raccolta dallo specchio primario viene concentrata in un punto sopra di esso, dove è presente una speciale lente ausiliaria che, mediante fibre ottiche, indirizza la luce agli strumenti di acquisizione dati. La lente non è fissa, ma è montata su un tracker – detto anche inseguitore – che ha il complicatissimo compito di muoversi lungo 6 assi; questi movimenti consentono di mantenere la porzione di cielo osservata nel campo visivo del telescopio e, contemporaneamente, di tenere la sua immagine perfettamente a fuoco, fino a un massimo di 2 ore. Grazie al tracker, il telescopio è oggi in grado di puntare oggetti su oltre l’80% della volta celeste.
Lo specchio primario di HET è costituito da 91 elementi esagonali identici, ciascuno del peso di oltre 110 kg e apotema di 1 m. Ogni elemento esagonale poggia su tre attuatori, che gli consentono di essere allineato con gli elementi adiacenti, con un margine di errore inferiore a 1/3 della lunghezza d’onda media della luce osservata (218 nm). I singoli moduli sono stati progettati per dare allo specchio primario un raggio di curvatura di 26 metri, con una tolleranza di 0,5 mm.
Accanto a HET vi è la torre di allineamento. Al crepuscolo il telescopio viene fatto ruotare verso la torre, dove un sensore rileva la posizione dei singoli 91 tasselli per allinearli con la precisione richiesta e compensare, in questo modo, la distorsione dovuta agli effetti della gravità. Tale allineamento viene successivamente mantenuto elettronicamente per tutta la notte, in quanto la distorsione gravitazionale non muta, avendo il telescopio una inclinazione fissa rispetto l’orizzonte.
HET è dotato di un innovativo spettroscopio a grande campo – VIRUS – realizzato con una combinazione di 156 semplici spettrografi, detti unità spettrografiche, collegati a una camera fotografica digitale attraverso oltre 35.000 fibre ottiche. Ogni fibra ottica trasporta il segnale luminoso di una minuscola porzione di cielo e ogni volta che una galassia si allinea a una fibra, VIRUS ne cattura lo spettro. Tenuto conto dell’ampio campo di vista del telescopio – 22 minuti d’arco, circa il 70% del disco lunare – e del numero di spettrografi in grado di coprire tale estesa porzione di cielo, è possibile acquisire diverse centinaia di spettri di altrettanti oggetti durante una sola esposizione di 20 minuti.
Oggi, grazie alla moderna strumentazione e alle migliorie apportate, HET è presente in diversi progetti di ricerca in ambito cosmologico. Tra i più importanti spicca H.E.T.D.E.C, Hobby-Eberly Telescope Dark Energy Experiment, un innovativo studio sull’energia oscura, che è alla base dell’espansione accelerata dell’Universo. Il progetto consiste nel determinare tridimensionalmente la posizione di oltre un milione di galassie, distribuite in un’ampia regione dello spazio, in direzione dell’Orsa Maggiore, tra i 10 e gli 11 miliardi di anni luce da noi.
Hobby-Eberly Telescope è gestito da un consorzio di istituzioni, che comprende l’Università del Texas ad Austin, l’Università di Stato della Pennsylvania, l’Università di Stanford, l’Università Ludwig Maximilians di Monaco di Baviera e l’Università di Gottinga.
Horn e i telescopi moderni:
Southern African Large Telescope (SALT, 2005)
Operativo dal 2005 e circondato da gazzelle e tassi, il SALT è il più
grande telescopio dell’emisfero australe
In prossimità di Karoo, cittadina del Sutherland situata 370 km a Nord-Est di Città del Capo, in Sudafrica, si trova il South African Astronomical Observatory (SAAO), un grande sito osservativo del cielo australe. La sua localizzazione a circa 1500 m di quota, in una zona con scarsa umidità atmosferica, lontana dai centri abitati e in un contesto naturalistico incontaminato, lo rende un eccellente punto di osservazione astronomica. Del sito fanno parte numerosi telescopi di diverse nazioni – Corea, Giappone, Gran Bretagna e Sudafrica – tra i quali il Southern African Large Telescope (SALT).
Come per l’Hobby-Eberly Telescope (HET) dell’Osservatorio McDonald in Texas, il SALT ha lo specchio primario – di forma esagonale e dimensioni 11 m x 9,8 m – composto da 91 tasselli riflettenti, anche questi esagonali, con apotema di 1 m. Un’altra peculiarità che accomuna il SALT a HET è la montatura innovativa, che gli consente una rotazione orizzontale di 360° e un puntamento in altezza fisso a 53° sopra l’orizzonte. Durante le osservazioni, la luce raccolta dallo specchio primario viene concentrata in un punto sopra di esso, dove una speciale lente ausiliaria la indirizza agli strumenti: una camera per le immagini e due spettrografi a media e alta risoluzione.
La lente non è fissa, ma è montata su un tracker che ha il compito di mantenere l’immagine del campo osservato perfettamente a fuoco, per circa 2 ore. Grazie al tracker, il telescopio è in grado di puntare oggetti su oltre il 70% della volta celeste, ma solo durante specifiche “finestre di opportunità” temporali. Per la particolare montatura del telescopio, gli oggetti non sono infatti sempre puntabili, anche se si trovano ben al di sopra dell’orizzonte.
A differenza dello specchio primario di HET, il cui profilo è parabolico, allo specchio principale del SALT è stato dato un profilo sferico. Questa differenza strutturale consente al telescopio un ampio campo visuale, utile all’osservazione di ben 8 minuti d’arco: quattro volte quello di HET.
I 91 tasselli esagonali che compongono lo specchio primario poggiano su attuatori, attraverso i quali viene operato un allineamento tra i vari esagoni, con un margine d’errore inferiore a 1/3 della lunghezza d’onda della luce (218 nm).
Accanto alla cupola del SALT vi è la torre d’allineamento. Al crepuscolo, il telescopio viene fatto ruotare verso la torre, dove un sensore rileva la posizione dei singoli tasselli e li allinea con la precisione richiesta, compensando, in questo modo, la distorsione dovuta agli effetti della gravità. Tale allineamento – mantenuto elettronicamente per tutta la notte – non cambia, poiché l’inclinazione fissa del telescopio rispetto all’orizzonte sottopone i tasselli sempre alla stessa distorsione gravitazionale. Da qui il grande vantaggio di questa montatura atipica.
Con i suoi strumenti di acquisizione all’avanguardia, SALT consente di ottenere immagini e analisi spettroscopiche di stelle e galassie miliardi di volte più deboli di quelle visibili a occhio nudo, con una risoluzione di un secondo d’arco.
Horn e i telescopi moderni:
Gran Telescopio Canarias (GTC, 2007)
Con i suoi 10,4 m di apertura, a oggi è il telescopio con specchio a mosaico più grande al mondo
Situato a quota 2267 m, nell’isola di La Palma (isole Canarie), l’osservatorio del Roque de Los Muchachos ospita alcuni tra i più importanti telescopi del cielo boreale. Tra questi vi è lo spagnolo Gran Telescopio Canarias, detto anche GranTeCan.
Il progetto GranTeCan è nato nel 1994 dalla cooperazione di numerose istituzioni spagnole (90%), messicane (5%) e dell’Università della Florida (USA) (5%), su iniziativa dell’Instituto de Astrofísica de Canarias (IAC).
Scientificamente operativo dal 2009, il GranTeCan è attualmente il telescopio più grande al mondo, nonché uno dei più avanzati nell’ottico e nel vicino infrarosso. Grazie ai 36 tasselli esagonali che compongono lo specchio primario – ciascuno dei quali con un peso di 470 kg, uno spessore di 8 cm, 0,9 m di lato e 1,9 m da vertice a vertice – il GranTeCan equivale a un telescopio con uno singolo specchio monolitico iperboloide concavo di 10,4 m di diametro e con 73 m2 di superficie effettiva.
Il telescopio è munito del sistema di ottica attiva, per cui ogni singolo tassello poggia su tre attuatori che ne consentono l’allineamento, la deformazione e il movimento. In questo modo, i 36 tasselli mantengono la posizione ottimale, indipendentemente dalle condizioni di temperatura, dai difetti di fabbricazione e soprattutto dalla deformazione gravitazionale dovuta alla direzione di puntamento del telescopio. La distorsione gravitazionale – che, dal centro al bordo di ogni singolo tassello è dell’ordine di 1 µm, un millesimo di millimetro – viene controllata ed eliminata attraverso sensori montati, in coppia, sui lati contigui di tasselli adiacenti.
Lo specchio secondario ha la forma di un iperboloide convesso. Per minimizzare gli effetti della radiazione termica e poter osservare anche nell’infrarosso, il perimetro esterno e il foro centrale del secondario riflettono la forma esagonale del primario. In questo modo, la superficie riflettente è equivalente a uno specchio circolare con diametro di 1 m. Per l’allineamento dei due specchi e la messa a fuoco dell’immagine, il secondario si può muovere fino a 14 volte al secondo lungo tre assi ortogonali tra loro e ruotarci attorno.
Lo specchio secondario riceve la luce dal primario e la riflette al fuoco del Cassegrain o allo specchio terziario, che a sua volta la devia a uno dei due fuochi Nasmyth. Nei diversi piani focali sono collocati spettrografi a varia risoluzione e camere digitali.
In futuro, si pensa di aggiungere al GranTeCan il sistema a ottica adattiva, che consentirà di correggere gli effetti della turbolenza atmosferica, migliorando ulteriormente le immagini raccolte. In tutti i grandi telescopi l’atmosfera terrestre degrada drasticamente la qualità dell’immagine; l’unico modo per ridurre sensibilmente questo disturbo è contrastarlo con correzioni molto rapide – circa 1000 al secondo – in tempo reale, facendo uso di uno specchio secondario deformabile.
Horn e i telescopi moderni:
Large Sky Area Multi-Object Fibre Spectroscopic Telescope (LAMOST, 2008)
All’apparenza un silo missilistico, nella realtà un telescopio, con un ambizioso programma scientifico made in China
Nella stazione osservativa nazionale dell’Accademia delle Scienze della Cina, il NAOC, 170 km a Nord-Est di Pechino, sorge il più potente telescopio ottico del mondo: LAMOST, acronimo di Large Sky Area Multi-Object Fibre Spectroscopic Telescope. Il telescopio è anche noto come Guo Shoujing, dal nome dell’astronomo cinese vissuto nel 13° secolo.
Visto dall’esterno, l’edificio che ospita LAMOST sembra essere più una rampa di lancio per missili, piuttosto che una costruzione destinata ad accogliere un telescopio. Dalla cima di una collina, a 960 m sul livello del mare, si erge una gigantesca torre bianca lunga 20 m e inclinata 25° rispetto all’orizzonte, con una grande cupola all’estremità inferiore.
Il telescopio è operativo dal 2009 ed è costato poco meno di 30 milioni di euro. Per le sue caratteristiche progettuali, è un ottimo strumento per monitorare il cielo. Ha infatti un’apertura effettiva di 4 m, e con 4000 fibre ottiche è in grado di raccogliere simultaneamente la luce di un gran numero di oggetti celesti. In una notte invernale, con un cielo terso, si possono ottenere fino a diecimila spettri di stelle e galassie con magnitudine apparente fino a 20,5.
Attualmente il telescopio sta conducendo un’osservazione spettroscopica sistematica del cielo che coinvolge 10 milioni di stelle della nostra Galassia e milioni di altre galassie. Si tratta di un lavoro estremamente ambizioso, che vuole aggiornare lo Sloan Digital Sky Survey (SDSS), la cartografia digitale del cielo iniziata alla fine degli anni ’90 del ’900 da una collaborazione americano–giapponese.
Durante le osservazioni, la cupola, posta all’estremità inferiore della torre, si apre. La luce degli oggetti osservati viene raccolta dallo specchio correttore sagomato di 5,72 m × 4,40 m, costituito da 24 tasselli esagonali disposti a nido d’ape, ciascuno con un apotema di 1,1 m e spessore 75 mm. La luce raccolta dallo specchio correttore viene riflessa verso lo specchio primario, posto a 20 m di distanza, nella parte superiore della torre, in direzione Sud. Questo secondo specchio, di 6,67 m × 6,05 m, è costituito da 37 tasselli esagonali, identici, per dimensioni, a quelli dello specchio correttore. A differenza dello specchio correttore che è piano, lo specchio principale ha curvatura sferica. Per compensare l’aberrazione introdotta da questo specchio, interviene il sistema di ottica attiva, che deforma opportunamente i 24 tasselli esagonali dello specchio correttivo.
La luce intercettata dallo specchio primario viene infine riflessa verso il piano focale, posto tra i due specchi, dove viene formata l’immagine del cielo osservato, ampio 5 gradi, circa 80 lune piene. In corrispondenza del fuoco, sono presenti le estremità di 4.000 fibre ottiche, che inviano il segnale luminoso agli spettrografi posizionati in una stanza sottostante. Gli spettri sono registrati – nel rosso e nel blu – su coppie di rivelatori CCD, ciascuno da 4.000 x 4.000 pixel.
Sia lo specchio primario che il piano focale sono fissi, mentre lo specchio correttore si muove, inseguendo gli oggetti celesti al loro passaggio in meridiano. Il telescopio è in grado di osservare la volta celeste da -10° a +90° di declinazione.