Horn scienziato:
La Stazione astronomica di Loiano
Siamo alla fine del XIX sec. e la Specola astronomica bolognese ha sede nell’antica Torre di Palazzo Poggi, in pieno centro cittadino. Dal 1864, anno in cui il direttore della Specola Lorenzo Respighi decide di non giurare fedeltà al Governo di Vittorio Emanuele II e di trasferirsi all’Osservatorio del Campidoglio a Roma, gli astronomi della Regia Università di Bologna si limitano a osservazioni meteorologiche. Tutto ciò avviene nonostante l’Astronomia stia vivendo una rivoluzione pari a quella avutasi con l’introduzione del telescopio da parte di Galileo Galilei (XVII sec.) nelle osservazioni della volta celeste. Nella seconda metà del XIX sec. si è passati, infatti, dall’osservazione astronomica attraverso l’occhio umano alla fotografia e alla spettroscopia. Con la fotografia e la possibilità di cambiare i tempi di esposizione delle lastre si ottengono, per la prima volta, immagini di corpi celesti con particolari mai osservati prima, mentre con la spettroscopia si è in grado di risalire alla composizione chimica degli oggetti osservati e ai loro spostamenti nello spazio.
Questa rivoluzione scientifica non viene colta immediatamente dall’Ateneo bolognese. Bisogna attendere il 1906, quando Michele Rajna, nuovo direttore in carica alla Specola, presenta alla Facoltà di Scienze una relazione dettagliata in cui respinge l’idea di rimodernare l’antica stazione osservativa ubicata in pieno centro urbano e, anzi, sottolinea la necessità di abbandonare definitivamente tale sede, ormai resa inutilizzabile dal crescente inquinamento luminoso cittadino. Per la prima volta nella storia dell’astronomia bolognese, si profila il progetto di una stazione astronomica fuori città, lontana dalle nuove luci dell’illuminazione elettrica e dai fumi crescenti delle industrie.
Rajna propone la costruzione della nuova Specola a Villa Aldini. Posta sulla sommità del Colle dell’Osservanza, poco a sud di Bologna, la villa è uno splendido esempio di architettura residenziale neoclassica dei primi anni del XIX sec. Il progetto prevede la realizzazione di due cupole: una per la ricerca scientifica, dotata di un telescopio rifrattore di 325 mm di apertura adibito all’astrofotografia, e una per la divulgazione, con un telescopio di più modeste dimensioni. È previsto anche l’ampliamento della villa, per realizzare gli studi degli astronomi, i laboratori, l’officina e la casa del custode.
Il progetto è ambizioso, ma non vedrà mai la luce. Nel 1920, Rajna muore prematuramente e Guido Horn d’Arturo, già suo assistente dal 1912, gli succede nella direzione della Specola bolognese. Con la morte del suo predecessore, Horn ha modo di rivedere con calma il progetto e ne evidenzia una criticità: Villa Aldini, benché posta su una sommità collinare, è tutto sommato a pochissimi chilometri dal centro urbano e, quindi, ancora soggetta al crescente inquinamento luminoso. Decide di puntare sulla scelta di un luogo ben più distante dalla città e, contemporaneamente, opta anche per un diverso tipo di telescopio: non un rifrattore (a lenti), bensì un riflettore (a specchi) che, a parità di dimensioni, consente di ottenere una qualità di immagini migliore grazie alla maggiore capacità di raccogliere la luce.
L’acquisto del telescopio è reso possibile da un evento fortuito. Nel 1925 la vedova di Adolfo Merlani, matematico e appassionato di astronomia, effettua un cospicuo lascito all’Università bolognese, una cifra che oggi corrisponderebbe a circa 250.000 euro. Con questi soldi, nel 1930 Horn commissiona alle Officine Zeiss di Jena (Germania) la costruzione di un telescopio riflettore newtoniano da 60 cm di apertura. Con una focale di 2,10 m e un rapporto d’apertura 1/3,5, lo strumento avrà caratteristiche che lo renderanno particolarmente adatto alle osservazioni fotografiche a fuoco diretto. Il telescopio giunge a Bologna nel luglio del 1933, smontato e imballato in nove casse.
Risolto il problema del telescopio, resta la ben più complessa questione del sito in cui realizzare la nuova stazione osservativa. Già da tempo Horn ha individuato una possibile area sulla sommità di Monte Stanco, nel Comune di Grizzana Morandi (BO). Le condizioni di particolare oscurità rendono il luogo adatto allo scopo, ma per poterlo raggiungere è necessario realizzare una strada lunga circa 2 km passante tra i boschi; vengono avviate le trattative con il Comune, ma non si giunge a un accordo economico. Monte Stanco viene abbandonato.
A questo punto la scelta cade su un ampio terreno di proprietà dell’Università, su Monte Orzale, nel Comune di Loiano (BO). Il terreno si trova a ridosso della Strada Statale della Futa, che collega Bologna a Firenze, a mezzo chilometro dal paese e a circa 800 m sul livello del mare. Questa volta il sito ha tutte le carte in regola e i lavori hanno finalmente inizio. Horn segue con cura tutti gli aspetti del progetto; è lui a scegliere le migliori ditte nei vari settori, contratta personalmente i costi e interviene su tutti gli aspetti tecnici. Vuole ottenere il massimo e, come vedremo ci riuscirà, dotando il nuovo osservatorio di uno strumento all’avanguardia per il suo tempo – con i suoi 60 cm di apertura sarà secondo solo a quello di Merate, un riflettore Zeiss da 102 cm – e riportando in breve tempo l’Università di Bologna ai vertici della ricerca astronomica nazionale.
Il 30 giugno del 1935 c’è la messa in posa della prima pietra della stazione osservativa, che, oltre alla cupola di alloggio del telescopio, ospiterà una sala per lo sviluppo delle lastre, un’officina e un bagno. La cupola, di 7 m di diametro, è progettata, realizzata e montata dalla ditta milanese Bombelli, la stessa che ha costruito l’arcata principale della Stazione Centrale di Milano e tutte le strutture metalliche degli osservatori astronomici del periodo. Per ridurre l’inquinamento luminoso, dovuto in particolare alle vetture che passano per la Strada della Futa, Horn chiede al Corpo Forestale dello Stato il permesso di rinverdire l’intera zona collinare circostante la stazione. Il permesso viene accordato, e vengono interrate migliaia di piante di castagni, pini e acacie. Nelle immediate vicinanze della stazione, viene realizzata anche una palazzina di venti vani che sarà adibita a uffici, alloggio del personale e autorimessa. Horn è soddisfatto di ciò che è riuscito a realizzare: ha arricchito l’Università bolognese con un importante strumento ottico, posizionato in un luogo più consono alle osservazioni.
I preparativi per l’inaugurazione della stazione astronomica di Loiano vengono adombrati da una nube di carattere politico. La confermata presenza delle autorità fasciste induce Horn a dubitare circa l’opportunità di presenziare alla cerimonia. Alla fine, il dubbio cede il posto al senso di responsabilità: egli partecipa all’inaugurazione, che si svolge il 15 novembre 1936 alla presenza delle maggiori autorità civili e religiose, dei numerosi astronomi giunti da varie parti d’Italia e del rettore dell’Università di Bologna, Alessandro Ghigi. Pochi giorni dopo, nella notte tra il 21 e il 22 dicembre, si realizza la prima lastra fotografica puntando la stella Alpha della costellazione della Balena. A partire da questo momento, Horn delinea un programma osservativo centrato su stelle variabili e nebulose.
Benché intenso e ricco di risultati, questo primissimo periodo di attività di Horn nella stazione osservativa sarà di breve durata. Nuove nubi si stanno addensando sull’orizzonte politico, lasciando presagire i disastrosi eventi storici del secondo conflitto mondiale. Il 18 settembre 1938, a Trieste, Benito Mussolini legge dal balcone del Municipio in Piazza Unità d’Italia il celebre discorso Sulla difesa della razza italiana: è l’emanazione delle leggi razziali e l’inizio delle persecuzioni degli ebrei anche in Italia. In quanto di orgine ebraica, Horn è costretto ad abbandonare la cattedra di Astronomia e la direzione dell’Osservatorio; a sostituirlo viene chiamato l’astronomo istriano Francesco Zagar.
Nel 1939 esplodono gli eventi bellici, ai quali l’Italia aderisce il 10 giugno dall’anno seguente. Nel periodo 1940-42, il personale scientifico dell’Osservatorio bolognese si riduce al solo direttore e all’assistente Leonida Rosino, mentre il resto del personale è richiamato alle armi. Le osservazioni proseguono, naturalmente, a rilento.
Il 1944 è un anno disastroso per la stazione astronomica, come per il resto del Paese. In primavera, con l’indietreggiare delle truppe naziste dall’Italia, si teme sempre più che il fronte della guerra giunga sull’Appennino Bolognese. Il 13 maggio si acquisisce l’ultima lastra, dopodiché l’Università decide di smontare lo specchio del telescopio e ricoverarlo in un luogo sicuro a Bologna. Appena quattro mesi dopo, in settembre, la guerra arriva effettivamente fino alla stazione astronomica, che si trova lungo la Linea Gotica, la linea difensiva con cui i Tedeschi cercano di impedire l’avanzata degli Alleati verso il Nord Italia. La stazione finisce sotto il fuoco dei mitragliamenti aerei alleati e subisce diversi danni e saccheggi, mentre dall’ottobre 1944 all’aprile 1945 diventa base d’appoggio per le truppe alleate.
Con la caduta del regime fascista e la fine del conflitto, Horn è immediatamente reintegrato come direttore dell’Osservatorio e nel maggio 1945 si reca a visitare la stazione astronomica. Si legge tra i suoi appunti: “…della montatura resta la nuda carcassa, spogliata di tutti gli accessori svitati accuratamente da gente del luogo, secondo le voci che ho raccolto lassù […] e non si potrà mai abbastanza deplorare che tra gli oggetti mancanti si conti l’intero apparato regolatore del movimento”.
Il 7 novembre del 1945, Horn riprende le osservazioni, sia pure in condizioni estreme. Manca la corrente elettrica, per cui la cupola viene faticosamente ruotata a mano attraverso una manovella; per l’illuminazione dei fili micrometrici usa una pila e per il moto orario del telescopio utilizza un motore a peso che viene ricaricato a mano, il che comporta la conseguente interruzione della posa. Nel 1947 il motore a peso viene sostituito con uno elettrico alimentato da batterie, che per essere ricaricate devono essere portate a piedi al paese sottostante. Soltanto il 30 luglio del 1951 torna la corrente elettrica e la stazione astronomica riprende definitivamente la sua attività scientifica.
Quando nel 1957 Horn va in pensione, lascia all’Università di Bologna una stazione astronomica di eccellenza, perfettamente competitiva a livello nazionale. Si conducono importanti studi sugli ammassi globulari galattici, sulle stelle variabili e sulle galassie. I dati raccolti in questi anni sono ancor oggi utilizzati e citati nei cataloghi scientifici più moderni.
La stazione astronomica di Loiano è attiva ancora oggi e il telescopio Zeiss da 60 cm, con la caratteristica cupola di legno e gran parte degli ingranaggi originali degli anni Trenta, è usato a scopo didattico e divulgativo.
Horn scienziato:
Lo specchio a tasselli
Siamo agli inizi degli anni Trenta e l’ambiente astronomico internazionale è in trepidante attesa per la costruzione del più grande strumento mai realizzato: il telescopio Hale di Monte Palomar, in California. Lo specchio principale di questo telescopio avrà un diametro di 5 m, il doppio di quello del telescopio Hooker di Monte Wilson, sempre in California, utilizzato pochi anni prima da Edwin Hubble per i suoi celebri studi sulle galassie.
Guido Horn d’Arturo riconosce subito le difficoltà tecniche cui andrà incontro la costruzione del nuovo telescopio. Egli pensa che, con i suoi 5 m di diametro e le oltre 14 tonnellate di peso, lo strumento rappresenti un limite massimo sia nella realizzazione sia nell’utilizzo di specchi monolitici. I suoi dubbi gli fanno maturare la convinzione che si sia giunti a un bivio: le crescenti dimensioni dei nuovi telescopi richiedono, necessariamente, una svolta nella tecnologia astronomica. Per questo motivo egli comincia a pensare a un’alternativa, a un’ottica sostitutiva del classico specchio primario monoblocco, e infine la trova.
La soluzione che egli escogita è una grande idea di ottica, oggi alla base dei più importanti telescopi già in uso e di quelli in progettazione. In alternativa allo specchio primario monoblocco, Horn inizia a pensare a una superficie riflettente frammentata, a uno specchio regolarmente suddiviso in tanti piccoli specchi, tutti uguali e con le stesse caratteristiche, tali da far convergere le loro immagini nel fuoco del telescopio. L’introduzione di questi specchietti, che Horn battezza “tasselli”, avrebbe risolto molti problemi: specchi di piccole dimensioni sono più semplici da lavorare e affiancandoli l’uno con l’altro è possibile realizzare superfici riflettenti di diametro ben superiore ai 5 m del telescopio Hale.
Fermamente convinto della propria idea, Horn pubblica il progetto del “telescopio dell’avvenire” sulla rivista Coelum nel giugno del 1932. Lo strumento da lui ideato è qualcosa di nuovo, che mai nessuno prima ha immaginato: uno specchio circolare con un diametro da 1 m, composto da 80 tasselli riflettenti di forma trapezoidale, ciascuno con una superficie di 1 dm2 e disposti in 5 anelli (gironi) concentrici. Il tutto deve essere fissato su un piano orizzontale, condizione che porta sì a una limitazione della sezione di cielo osservabile, ma facilita l’espansione della superficie riflettente e con costi decisamente contenuti.
Nel suo articolo l’astronomo descrive in maniera dettagliata le caratteristiche dei singoli tasselli: forma, dimensioni, spessore e curvatura che deve essere sferica e pari a circa 20 m, in modo tale da avere il piano focale a una distanza di 10 m dallo specchio. Questi requisiti sono dettati dalle caratteristiche del luogo in cui Horn è intenzionato a posizionare lo strumento: la Sala della Torretta posta in cima alla Torre della Specola di Bologna, oggi sede del Museo della Specola.
Questa stanza ha un’altezza di circa 10 m e sul soffitto è presente un foro zenitale per le osservazioni. Posizionando lo specchio a tasselli su un ripiano di marmo rialzato di circa mezzo metro dal pavimento, il suo piano focale si sarebbe trovato appena al di sopra del foro zenitale, facilmente accessibile dalla terrazza. Questo piano di marmo è di fondamentale importanza per Horn: è qui che va posizionata la lastra fotografica, ed è da qui che si deve valutare l’entità della calibrazione da apportare ai tasselli prima delle osservazioni.
L’aggiustamento di ciascun tassello sul piano d’appoggio può essere effettuato agendo su appositi supporti a vite, tre per ogni tassello, regolabili dal retro della lastra di marmo preforata, permettendo così il movimento di ciascuno specchio nelle tre direzioni ortogonali. Oltre a consentire la convergenza di 80 immagini – tante quanti sono gli specchietti – in una sola sul piano focale, questo ingegnoso dettaglio consente la correzione dell’aberrazione sferica tramite la regolazione in altezza dei cinque gironi riflettenti, portando lo specchio ad assumere una curvatura parabolica.
Per la realizzazione dei tasselli, Horn si rivolge alle grandi ditte di ottica del momento: la Filotecnica di Milano, diretta dall’ing. Angelo Salmoiraghi, e le Officine Zeiss di Jena (Germania), con le quali era già in contatto per la costruzione del telescopio della futura Stazione Osservativa di Loiano. È convinto a tal punto della correttezza della propria idea che, nel giugno dello stesso anno fa richiesta di esclusiva commerciale al Ministero delle Corporazioni a Roma. Il Ministero non tarda a rispondere, richiedendo alcune integrazioni alla domanda, ma, per ragioni non note, Horn l’abbandona.
La realizzazione dei tasselli procede molto a rilento. I primi 10 pezzi, prodotti dalla Filotecnica, sono pronti solo nel 1935; altri 10, questa volta dalla Zeiss, arrivano nel 1937. Nonostante sia realizzata solo una minima parte dell’intero progetto, Horn riesce ad approfondire i propri studi di ottica e a testare, già con i primi 10 tasselli, la validità dello strumento, fotografando il campo a sud di alfa-Cygni, con stelle tra l’ottava e la nona magnitudine apparente.
Le attività di Horn hanno una brusca battuta d’arresto nel 1938, con l’entrata in vigore delle leggi razziali, emanate dal regime fascista su tutto il territorio italiano nel settembre di quell’anno. In quanto di famiglia ebraica, Horn è costretto ad abbandonare i suoi incarichi pubblici – la cattedra di Astronomia presso l’Ateneo Bolognese, la direzione dell’Osservatorio e, naturalmente, il lavoro sullo specchio a tasselli nella Torre della Specola – nonché la direzione della rivista astronomica Coelum. Lo scoppio della seconda guerra mondiale, e l’entrata dell’Italia nel conflitto nel 1940, riconfermano il suo stato di forzata inoperatività.
Solo nel maggio del 1945, con la fine della guerra e l’abrogazione delle leggi razziali, lo scienziato viene reintegrato e messo nelle condizioni di riprendere il proprio lavoro. Egli non solo deve recuperare il tempo che gli è stato rubato, ma ritrova gli specchietti utilizzati prima della guerra in pessime condizioni. Non gli resta che rimettersi subito al lavoro, costruendo autonomamente e in economia i nuovi tasselli nell’officina della Specola.
Nel 1948 viene finalmente inaugurato il telescopio Hale, dopo quasi vent’anni dall’inizio della sua costruzione. I ritardi sono dovuti non solo allo scoppio della guerra, ma anche ai numerosi problemi tecnici riscontrati nella sua realizzazione, così come previsto dall’astronomo italiano.
Nel 1949, Horn inaugura una parte del nuovo specchio a tasselli. Il nuovo strumento presenta una differenza costruttiva sostanziale rispetto al precedente, ossia la forma degli specchietti. Avendo lavorato personalmente – con l’aiuto del tecnico Aldo Galazzi – alla levigatura dei tasselli, Horn comprende la difficoltà di lavorazione e decide di passare da una forma trapezoidale a una esagonale, nonché ad un’area più estesa, di circa 3,5 dm2. Con questa configurazione e utilizzando soltanto 19 tasselli – uno in posizione centrale, 18 disposti in due gironi intorno al primo – distingue alcune stelle doppie appartenenti al catalogo stellare ADS.
Il telescopio è ultimato nel 1952 quando, a seguito di importanti lavori di ristrutturazione della torre della Specola, si perforano i 4 piani di un’ala della torre; questi cambiamenti strutturali consentono l’abbassamento del livello dello specchio e, di conseguenza, rendono accessibile il centro di curvatura della superficie riflettente. L’aggiustamento effettuato da questo punto è ora un’operazione molto più celere: Horn e collaboratori impiegano circa 50 minuti, invece di 4-5 ore di lavoro. Il nuovo specchio è formato da 61 esagoni, ha un diametro totale di 1,8 m, una lunghezza focale di 10,41 m. Le 183 viti (3 per ogni tassello) ne consentono l’aggiustamento.
Con il nuovo strumento, Horn mappa fotograficamente la porzione di cielo passante allo zenit della Torre, riuscendo a imprimere sulla lastra fotografica stelle della diciottesima magnitudine: un risultato importante, vista la posizione della Specola al centro della città, soggetta all’ormai crescente inquinamento luminoso. Dal confronto di alcune lastre, egli riesce a scoprire, insieme al caro amico e collega Giovanni Battista Lacchini, undici stelle variabili.
Il 31 ottobre 1957, dopo aver realizzato ben 17.000 lastre, Horn conclude le osservazioni con lo specchio a tasselli: il 1 novembre va in pensione. Tuttavia, la geniale idea ampiamente testata non viene depositata nel dimenticatoio: al contrario, è pronta per essere sviluppata ulteriormente. Horn non ha infatti dimenticato il grosso limite di questo genere di strumenti, la ristrettezza della porzione di cielo osservabile deve essere superata. Il suo sogno è quello di creare una “rete” di telescopi a tasselli, almeno una decina sparsi in Italia da Nord a Sud, disposti a circa un grado di latitudine l’uno dall’altro, riuscendo così ad ampliare le zone di cielo da studiare.
La fede nella propria convinzione porta Horn a sognare sempre più in grande. In Puglia, lo speleologo Franco Anelli ha da poco completato l’esplorazione delle grotte di Castellana. Ed è qui, in fondo alla caverna n.8, che egli vorrebbe posizionare un telescopio a tasselli con la più grande superficie riflettente del mondo. Progetta uno specchio composto da ben 217 esagoni, un diametro totale di 5,10 m e una focale di 32 m. Nel progetto viene sottolineato il primato che l’Italia raggiungerebbe, considerando una spesa decisamente inferiore rispetto a quella servita per la costruzione del telescopio Hale. Nonostante Horn goda del totale appoggio dell’Università di Bari, del Comune di Castellana e degli enti locali, nessuno lo sostiene economicamente e, tristemente, il progetto resta sulla carta.
Negli ultimi articoli pubblicati su Coelum, Horn accenna a possibili ulteriori applicazioni di questi specchi, come ad esempio nei telescopi spaziali o in osservazioni di interferometria stellare.
L’idea degli specchi a tasselli inizia a diffondersi nel mondo scientifico solo negli anni Sessanta, e Horn muore nel 1967, senza vedere completamente accettata la sua invenzione.
Negli anni successivi, l’unico a ricordare il lavoro di Horn sarà l’astronomo Luigi Jacchia che nel 1978, all’alba dell’inaugurazione del Multi Mirror Telescope (MMT), pubblicherà sulla rivista Sky & Telescope un articolo dove riprende l’idea progettata, realizzata e messa in pratica a Bologna dal suo maestro e amico Guido Horn d’Arturo, riconoscendone totalmente la primogenitura.
Osservando ora i telescopi realizzati dopo il MMT, e anche quelli ancora in progettazione, è possibile riconoscere l’idea che Horn ha lungamente proposto e perseguito dagli anni Trenta: superfici riflettenti sempre più grandi, ottenute grazie all’unione di piccoli tasselli.
Horn scienziato:
Coelum
Nel 1931 Horn è l’ideatore di Coelum, la prima rivista di divulgazione scientifica europea specializzata in astronomia e astrofisica. È una pubblicazione che mira ad esporre le ultime novità in campo scientifico in modo rigoroso, pur mantenendo un approccio divulgativo che la rende accessibile alla maggioranza dei lettori.
Ancor prima di iniziare la pubblicazione, Horn stringe contatti con diverse comunità di astrofili italiani, garantendosi dei potenziali abbonati. Si dimostra in questo modo un editore moderno, precursore dei tempi, in grado di finanziare la testata con le sole quote di abbonamento dei lettori. Studia e analizza i periodici settoriali dell’epoca, scritti in prevalenza da appassionati del cielo – L’Astrofilo, periodico milanese fondato da Isidoro Baroni, e le Circolari, del Gruppo Astrofili Bononia – traendone ispirazione, ma al contempo convincendosi sempre più della necessità di dare alla nuova testata una visione critica della conoscenza scientifica e astronomica in particolare. Le pagine devono dare spazio a una molteplicità di ipotesi che vanno armonizzate, evitando di utilizzare un linguaggio dai toni enfatici e dalle facili certezze. A questo altissimo concetto di divulgazione il direttore di Coelum si atterrà per tutta la vita, difendendo la testata da ogni critica non giustificata.
Sono trascorsi appena due anni dalla grande depressione del 1929 e la crisi economica è ancora chiaramente tangibile in Italia. Ciononostante, Horn arriva a due conclusioni, che saranno alla base del suo agire nel nuovo ruolo di editore: la cultura non può e non deve essere svenduta; se fatta bene, la cultura può addirittura creare reddito. Nasce così il mensile Coelum, che vuol essere un prodotto di qualità e, come tale, deve essere venduto a una cifra equa: non troppo bassa, in modo da non sminuire l’eccellenza degli scienziati che vi scrivono, né troppo alta, per non risultare gravosa per i lettori.
Horn si dimostra un editore instancabile. Intesse una fitta rete di pubbliche relazioni attraverso le quali diffondere la sua rivista. È anche un innovatore nelle strategie di pubblicazione, anticipando di circa quarant’anni le pubblicazioni a puntate, per fidelizzare il pubblico e incrementare le vendite. Ne è un fulgido esempio la Piccola enciclopedia astronomica, che Horn pubblica su Coelum tra il 1933 e il 1939, e poi ancora, con l’allievo Piero Tempesti, tra il 1959 e il 1960. La stessa verrà ristampata in un unico volume nel 1960, dalla Tipografia Compositori di Bologna, insieme a Vita e opere degli astronomi: dai primitivi a quelli vissuti non oltre il sec. XIX. In quest’ultima vengono descritti i personaggi, gli strumenti e le idee che hanno punteggiato la storia dell’astronomia, fin dalle sue origini. Il lavoro di spoglio della stessa biblioteca bolognese consente a Horn di menzionare anche oscuri personaggi d’ambito locale, sconosciuti alle maggiori bio-bibliografie, dei quali era posseduto un almanacco o un’effemeride, contribuendo così a un’estensione del panorama offerto dalle già esistenti pubblicazioni, quali la Biblioteca matematica di Pietro Riccardi o il Biographisch-Literarisches Handwörterbuch di J.C. Poggendorff.
Fin dalle sue prime uscite, Coelum si diffonde rapidamente, sia a livello nazionale che internazionale. Giocano infatti a suo favore due fattori, che fungono da forte attrattiva per i lettori: i nomi dei personaggi illustri che vi scrivono e l’impronta di pubblicazione libera da qualsiasi manipolazione che Horn ha voluto dare alla rivista, in qualità egli di editore e i lettori di finanziatori.
L’avventura di Coelum si interrompe bruscamente nel 1939, con l’entrata in vigore delle leggi razziali emanate dal regime fascista su tutto il territorio italiano già nel settembre 1938. In quanto ebreo, Horn è costretto ad abbandonare i suoi incarichi pubblici – la cattedra di Astronomia e la direzione dell’Osservatorio – nonché la direzione del giornale. Tenta di trovare un prestanome fidato a cui affidare la gestione, ma la ricerca è vana e così preferirebbe interrompere le pubblicazioni, in attesa di tempi migliori. Il Rettore e Zagar, il nuovo direttore dell’Osservatorio, decidono di proseguire senza Horn, ma riusciranno solo parzialmente nell’intento: le pubblicazioni saranno saltuarie e, infine, interrotte.
Nel 1945, con la fine della guerra e l’abrogazione delle leggi razziali, ormai quasi settantenne Horn riprende in mano tutti i suoi progetti, tra cui la rivista. Ricontatta i vecchi abbonati e i potenziali nuovi sottoscrittori e, già nel 1946, Coelum torna nelle case degli appassionati. Tra il 1948 e il 1951 cura la pubblicazione a puntate della Mitologia delle Costellazioni, nella quale viene evidenziata la dimensione storica, letteraria e iconografica dell’astronomia. Questo progetto dà a Horn l’occasione di arricchire la biblioteca universitaria di nuovi volumi di mitologia greca e romana, dizionari di mitologia, trattati di cosmologia poetica e testi classici, come il De deorum origine di Apollodoro e il Poeticon astronomicon di Igino, del quale personalmente esegue la traduzione dal latino, pubblicata a puntate su Coelum. Più in generale, la biblioteca si arricchisce anche delle numerose opere giunte nelle mani di Horn per essere recensite.
L’anziano astronomo continua a dirigere Coelum fino alla sua morte.
La testata continua ad essere pubblicata per quasi vent’anni. La prende in eredità il prof. Giuseppe Mannino, poi il prof. Pierluigi Battistini e, infine, il prof. Fabrizio Bònoli, che nel 1986 firma l’ultimo numero.
Alcuni numeri di Coelum, in formato .pdf
(dalla Biblioteca Personale del prof. F. Bònoli)
Horn scienziato:
La biblioteca e l’archivio
Nel 1921, Horn d’Arturo succede a Michele Rajna (1854-1920) nella direzione del Regio Osservatorio Astronomico di Bologna e inizia a lavorare al progetto di rinnovamento e di accrescimento della biblioteca pubblica di Astronomia.
Per Horn una biblioteca, grande o piccola che sia, deve soddisfare principalmente due requisiti: essere luogo di conoscenza (dal latino tardo cognosco – apprendere con l’intelletto) e di divulgazione (dal latino divulgatio – spandere tra la folla). Horn sente come dovere civico la necessità di condivisione di ogni genere di conoscenza e di informazione, facendo suo il motto, breve ma incisivo, del conte Luigi Ferdinando Marsigli: nihil mihi (nulla è per me, tutto è per la collettività).
A dimostrazione di quanto Horn fosse un precursore dei tempi, bisogna attendere il 1994 per vedere un documento dell’UNESCO dedicato al valore etico di una biblioteca pubblica, in una visione di condivisione democratica del sapere. Il documento in questione è il noto Manifesto IFLA/UNESCO sulle biblioteche pubbliche.
Guido Horn nasce a Trieste e qui trascorre gli anni fondamentali della sua formazione. È innegabile che il fermento culturale che si vive nella città mitteleuropea in questi anni lo influenzi. Le letture e le frequentazioni artistiche e letterarie contribuiscono a creare in lui una sensibilità artistica unica, che lo accompagnerà per tutta la sua vita. È in questi stessi anni che inizia la sua passione bibliofila, instaurando la corrispondenza con il poeta, scrittore e aforista Umberto Saba, e la sua storica Libreria Antiquaria di Trieste; molti cataloghi della Libreria li ritroviamo, tutt’oggi, nella biblioteca bolognese, accuratamente rilegati in volumi, accanto alle Scienze naturali nel Boccaccio di Attilio Hortis e agli studi di Meteorologia ed oceanografia di Eduard Mazelle.
Generosamente e altruisticamente, Horn tratta la biblioteca dell’Istituto Universitario come la sua biblioteca privata, arricchendola di volumi acquistati per proprio conto. Molti testi antichi, regolarmente schedati e cartellinati, non risultano infatti nei registri di inventario, suscitando il sospetto che l’astronomo, appassionato bibliofilo, li abbia acquistati a proprie spese e poi li abbia posti in quella biblioteca che considerava una sua creatura.
Horn prende talmente a cuore il progetto della biblioteca che la sua realizzazione e l’arricchimento di nuovi volumi procedono di pari passo con la carriera di scienziato e uomo. Questa particolarità salta subito all’occhio rileggendo i cataloghi e gli inventari. Ad esempio, i settori riservati alle comete e alla meteorologia riflettono chiaramente i suoi primi anni lavorativi, dipanatisi tra la laurea a Vienna e gli Osservatori di Trieste, Catania, Torino e Bologna.
Durante l’anno accademico 1911-1912, a Bologna Horn supplisce lo stesso Rajna in una ventina di lezioni sull’Astronomia sferica, sulla falsariga delle lezioni tenute a Milano dall’astronomo Giovanni Schiaparelli (1835-1910). In biblioteca, infatti, compaiono gli Elementi di astronomia sferica – Lezioni dello Schiaparelli, mentre nel “Fondo Horn d’Arturo” dell’Archivio storico del Dipartimento di Astronomia sono raccolti i manoscritti di alcune sue lezioni universitarie, apparse poi ciclostilate nel 1937.
Nella biblioteca troviamo anche una testimonianza della Grande Guerra. Quando Horn rientra dal conflitto, realizza un Ex libris – un foglietto rettangolare stampato in bianco e nero – recante il motto In puro aëre vita. La frase risale al periodo trascorso al fronte italiano, un’invocazione dell’aria pura scritta sulla porta del rifugio per scongiurare il rischio dei gas asfissianti.
Nel 1921 Horn incontra Albert Einstein grazie a Federigo Enriques, collaboratore della casa editrice bolognese Zanichelli, editrice in Italia delle opere dello stesso Einstein. Lo scambio di opinioni con il celebre fisico fanno sì che tra i due si instauri un rapporto di stima reciproca.
In seguito a questo incontro, troviamo in biblioteca un settore dedicato alla Relatività; diversi volumi, tra cui quelli della rivista Annalen der Physik, con due storici articoli firmati dallo stesso Einstein: Die Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie, del 1916, e Über die spezielle und die allgemeine Relativitätstheorie, del 1921. Entrambi gli articoli sono pieni di annotazioni di Horn e l’ultimo risulta oramai quasi illeggibile.
Con la missione in Oltregiuba del 1926, la biblioteca si arricchisce non solo di una collezione di carte del Nord Africa, utilizzate per la preparazione della spedizione, ma anche e soprattutto di un ricco scambio di corrispondenza con gli altri osservatori astronomici, nazionali e internazionali. I risultati ottenuti dalla spedizione suscitano l’interesse della comunità astronomica internazionale, per il lavoro professionale di Horn e, più in generale, per l’astronomia italiana.
Questo intenso scambio internazionale di memorie, bollettini, dati e singoli articoli che ha inizio a metà degli anni Venti, prosegue nei decenni successivi a dispetto dei rovesci politici ed istituzionali dei singoli osservatori e dei loro enti di appartenenza.
Accanto all’istanza colta di arricchimento della biblioteca nel settore antico e di aggiornamento nei più moderni risultati della ricerca, Horn non dimentica l’esigenza di dotarla anche di manuali e strumenti di base, necessari sia all’amatore o all’inesperto, sia all’astronomo che si accosta per la prima volta a materie non sue ma indispensabili alle proprie ricerche. Si affida per questo ai manuali Hoepli, una serie ben nota e vitale ancor oggi, che abbina al costo contenuto l’estrema affidabilità degli autori. Compaiono così in biblioteca i manuali Hoepli del meccanico e della radioattività, della lingua greca e della sismologia, della bibliografia e della gnomonica, e di molte altre materie che sorprendono per la loro distanza dagli interessi astronomici, come catasto, filologia classica, elettrotecnica e agrimensura.
Le cure del professore non si volgono solo all’arricchimento del patrimonio bibliografico, ma anche alla sua conservazione, organizzazione e gestione. Le stesse attenzioni egli dedica all’Archivio Storico e al suo riordino.
Lo schedario a schede mobili è interpretato da Horn nella sua accezione più vasta di catalogo ragionato, in cui per ogni volume egli inserisce la descrizione bibliografica e la provenienza: ricevuto per recensione, dono dell’autore, oppure acquistato in una certa libreria (e, in questo caso, indica data di acquisto e prezzo). Infine, per i libri più antichi, in calce alla scheda aggiunge indicazioni sulle pagine particolarmente significative.
Nell’intraprendere la catalogazione semantica della biblioteca, Horn è certamente favorito dalla conoscenza delle lingue, antiche e moderne, e in particolare da quella del tedesco, che non è dote diffusa all’epoca.